La "golden rule" (regola d'oro) stabilisce che nelle alterne fasi del ciclo economico la pubblica amministrazione può indebitarsi soltanto per finanziare la spesa per investimenti e non la spesa corrente (riferite al funzionamento dei pubblici servizi).
La Commissione Europea si è mostrata sempre contraria alla introduzione di una golden rule che escluda la spesa pubblica per investimenti dal saldo rilevante ai fini delle regole di bilancio europee. Perchè?
Il motivo è legato alla difficoltà di stima del tasso di rendimento dei singoli progetti (troppe variabili da stimare e troppi fattori umani da includere nel modello di simulazione di eventi futuri).
Infatti il legame tra investimenti pubblici e crescita economica, pur supportato dalla teoria economica, risulta
difficilmente valutabile in pratica, proprio a causa della difficoltà di stima del tasso di rendimento. Il tasso di rendimento è importante quale indicatore della capacità del progetto di generare in futuro un flusso di cassa sufficiente a rimborsare e remunerare il finanziamento impiegato per la sua realizzazione.
Quando si disponeva di sovranità monetaria era possibile assumersi questo rischio (di non definire esattamente un tasso di rendimento dell'investimento) poichè gli stati potevano emettere moneta, pagare parti del debito e rilanciare l’economia senza quasi limite.
Potevamo farlo prendendo la moneta in prestito da noi stessi, come fanno tuttora gli USA, il Giappone e la Cina che se si indebitano fino al collo e possono poi rifinanziarsi il debito all’infinito. Noi Stati membri dell'Unione Europea invece dobbiamo, prima di spendere, prendere in prestito gli euro dai mercati di capitali, e quindi per noi i debiti sono un problema, perché li dobbiamo restituire a qualcun altro, non più solo a noi stessi.
Investire oggi in progetti con tasso di rendimento basso o addirittura nullo richiederà in futuro riduzioni di spesa o aumenti di imposte necessari a rimborsare il debito contratto.Ciò implica un peggioramento delle condizioni economiche delle generazioni future a favore di quelle attuali. Ragioni di equità intergenerazionale impongono, quindi, la realizzazione, da parte delle generazioni attuali, solo di quei progetti con un significativo tasso di rendimento. E’ fondamentale quindi prevedere per ciascun progetto quale sarà il tasso di rendimento e confrontarlo con il costo del denaro attuale e futuro.
Abbiamo quindi capito perchè la Commissione Europea crede che l'applicazione di una golden rule potrebbe minare la sostenibilità del debito pubblico nel medio-lungo termine.
Ma quale alternativa fornisce la Commissione?
La Commissione, pur consapevole del ruolo svolto dagli investimenti pubblici per la crescita economica, ha
vagliato un solo strumento per consentire una spesa pubblica per investimenti, compatibile con la disciplina di bilancio. Nel cosiddetto braccio preventivo (Reg.CE 1466/1997) del Patto di stabilità e crescita gli investimenti ricevono una particolare considerazione ai fini dell'applicazione della regola sulla spesa. In particolare, la spesa per investimenti fissi lordi è inclusa nell’aggregato di spesa soggetto al vincolo, come media sugli ultimi 4 anni allo scopo di non penalizzare gli Stati membri la cui spesa presenti dei picchi nell'anno di realizzazione dell'investimento. Inoltre, sono escluse dall'aggregato le spese per programmi di investimento dell'Unione europea a cui corrisponde un cofinanziamento di pari importo da parte dell'Unione stessa.
Cioè per dirla in parole semplici o meglio usando le stesse parole del commissario Olli Rehn, è stata prevista la "clausola per gli investimenti": un paese in difficoltà economica, potrebbe effettuare spese per investimenti in progetti co-finanziati dalla UE, se e solo se dimostra con dati alla mano di aver attuato tutte le politiche di convergenza e di aggiustamento dei conti previsti nelle raccomandazioni della commissione.
Cioè la principale leva dell'economia, gli investimenti, sono vincolati alle decisioni di un gruppo ristretto di funzionari e burocrati, e non è più nelle facoltà dei governi nazionali. Pertanto il rilancio economico degli stati membri dell'UE è deciso a Bruxelles, ma solo se il paese in questione "si comporta bene".
Cioè la principale leva dell'economia, gli investimenti, sono vincolati alle decisioni di un gruppo ristretto di funzionari e burocrati, e non è più nelle facoltà dei governi nazionali. Pertanto il rilancio economico degli stati membri dell'UE è deciso a Bruxelles, ma solo se il paese in questione "si comporta bene".
Nella seduta del Parlamento europeo del 3 luglio 2013, il Presidente della Commissione europea Manuel Barroso annunciò che la Commissione, nel valutare i bilanci nazionali per il 2014 e i consuntivi del 2013, avrebbe consentito, caso per caso e nel pieno rispetto del Patto di stabilità e crescita, scostamenti temporanei dal percorso di avvicinamento verso gli obiettivi di medio termine fissati nelle raccomandazioni per i singoli paesi membri. Tali scostamenti dovranno riferirsi a spese per progetti co-finanziati dall'Unione europea (UE) nell'ambito della Politica strutturale e di coesione, delle Reti trans-europee o del Meccanismo per collegare l'Europa (Connecting Europe Facility).
Lo stesso giorno, il vice-presidente della Commissione europea e commissario per gli affari economici e finanziari Olli Rehn ha inviato ai ministri delle finanze dei paesi membri e al Parlamento europeo una lettera contenente maggiori dettagli su quella che lo stesso Rehn definisce la “clausola sugli investimenti”.
La lettera diceva che nell'ambito del braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita, la Commissione valuterà l'opportunità di consentire scostamenti temporanei dall'OMT (Obiettivo di Medio Termine) definito nelle raccomandazioni per uno Stato membro, o dal percorso di avvicinamento ad esso, qualora le seguenti condizioni siano verificate:
(1) la crescita economica dello Stato membro rimane negativa o comunque ben al di sotto del
suo valore potenziale;
(2) lo scostamento non determina un disavanzo pubblico in eccesso rispetto alla soglia del 3 per
cento del PIL e la regola del debito è rispettata;
(3) lo scostamento è relativo alla spesa nazionale per progetti di investimento co-finanziati dall'Unione europea nell'ambito della Politica strutturale e di coesione, delle Reti trans-europee o del Meccanismo per collegare l'Europa (Connecting Europe Facility). I progetti devono avere sul bilancio pubblico un effetto di lungo termine positivo, diretto e verificabile.
Capite benissimo come il "rubinetto degli investimenti" concessi agli stati membri si apra con il contagocce.
In una situazione così stagnante e critica come quella attuale, se non apriamo il rubinetto degli investimenti rischiamo di azzerare lo sviluppo della nostra generazione e limiteremo anche tutte le future generazioni.
Sulla base delle considerazioni effettuate potete comprendere il motivo per cui ieri, il ministro uscente Saccomanni si sia recato a Bruxelles per discutere con il commissario agli affari economici Olli Rehn, proprio della clausola per gli investimenti dell'Italia. In realtà il ministro prima di partire aveva già messo le mani avanti, emettendo un comunicato stampa (vedi link) in cui spiegava che l'Italia non ne avesse proprio la necessità, poichè ha già inserito tutta la capacità di investimenti nella legge di Stabilità 2014 rispettando contemporaneamente i vincoli europei.
Considerando i commenti deludenti alla legge di stabilità, pervenuti da tutte le parti sociali, non siamo messi bene perchè gli investimenti previsti nella legge di stabilità sono stati definiti niente di più che semplici marchette!
L'incontro Saccomanni-Rehn non ha quindi prodotto novità per quanto concerne la «clausola degli investimenti» chiesta a suo tempo dall'Italia. Ormai è chiaro che non sarà riconosciuta dall'esecutivo UE, perché non ve ne sono le condizioni. In sostanza, la «spending review» è stata solo impostata ma non sono state ancora prese le decisioni per attuarla. Di conseguenza la Commissione non può tenerne conto nelle previsioni economiche di fine febbraio. Quindi i dati a supporto delle valutazioni del Governo italiano non sono ancora del tutto certi e disponibili e l'Italia non potrà usufruire della clausola degli investimenti.
L'incontro Saccomanni-Rehn non ha quindi prodotto novità per quanto concerne la «clausola degli investimenti» chiesta a suo tempo dall'Italia. Ormai è chiaro che non sarà riconosciuta dall'esecutivo UE, perché non ve ne sono le condizioni. In sostanza, la «spending review» è stata solo impostata ma non sono state ancora prese le decisioni per attuarla. Di conseguenza la Commissione non può tenerne conto nelle previsioni economiche di fine febbraio. Quindi i dati a supporto delle valutazioni del Governo italiano non sono ancora del tutto certi e disponibili e l'Italia non potrà usufruire della clausola degli investimenti.
Qualche settimana fa durante la conferenza interparlamentare dei paesi membri dell'UE sono intervenuto sulla questione investimenti, con una metafora che fornisce bene il senso del momento che stiamo vivendo.
Qualsiasi Governo in Italia dovrà fare i conti con i vincoli imposti e sottoscritti dai nostri rappresentanti al consiglio UE non avendo altri spazi di manovra se non quelli stabiliti dalle regole accettate dai governi precedenti.
L'idea per un Governo davvero rivoluzionario sarebbe inserire in agenda una concreta campagna di investimenti con l'unico obiettivo della creazione di nuovi posti di lavoro e volare subito a Bruxelles per farla accettare dai partner dell'Unione ed anzi fare da esempio affinchè l'UE si faccia promotrice di una golden rule per investimenti mirati a più larga scala in tutti i paesi dell'UE.
Vi invito a visionare i video dei miei interventi al parlamento europeo sul tema investimenti:
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