domenica 28 settembre 2014

CAMBIARE LA LOTTA ALLA CONTRAFFAZIONE PER SOSTENERE LO SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO E DELL’ITALIA INTERA

A margine della Commissione parlamentare sulla Contraffazione, che ha visto la partecipazione della vicepresidente di Confindustria Lisa Ferrarini, ho delineato la ricetta del M5S per la tutela del vero Made in Italy



La Commissione parlamentare sulla Contraffazione, riunitasi alla Camera dei Deputati, ha visto la partecipazione della vicepresidente di Confindustria Lisa Ferrarini, la quale detiene anche la delega al “Made in Italy”. Un appuntamento di fondamentale importanza per il futuro dell’economia italiana, oramai interamente dipendente dalle esportazioni visto il mercato interno totalmente saturo.

Purtroppo non è emerso nulla che possa far presagire un cambio di rotta nella politica della tutela delle produzioni nazionali. Nonostante si è ammesso che i controlli non possono riguardare più del 2% delle produzioni, nonostante le frodi probabilmente ascendono a cifre superiori al totale delle stesse produzioni italiane, la vicepresidente non ha fatto altro che sostenere una più puntuale applicazione della legge sul Made in Italy. Ritengo, però, che non bisogna fermarsi alla fase di contrasto e controllo perché è solo uno degli aspetti della questione. La vera lotta alla contraffazione parte agevolando all’origine le imprese che agiscono sui binari della legalità. È il costo eccessivo della burocrazia a determinare lo svantaggio competitivo a danno delle nostre imprese e a favore di chi non adempie gli obblighi normativi.

Questa la “ricetta” dei 5 Stelle per rendere la lotta alla contraffazione più efficace di quella odierna, ritenuta sostanzialmente fallita e senza futuro. “Purtroppo molto Made in Italy è realizzato con materie prime d’importazione e, quindi, l’azione di contrasto al falso si traduce anche in sostegno dei produttori esteri. Mentre il Sud d’Italia, produttore di enormi quantità di materie prime alimentari eccellenti, deve subire i prezzi d’importazione”. Si delinea, insomma, una forte contrapposizione tra i sostenitori della conservazione di un sistema di etichettatura che premia solo i grandi produttori nazionali (usualmente settentrionali) e una visione più ampia che includa nelle attenzioni dei politici anche le piccole imprese meridionali.

Una visione che, ovviamente, non mira a demolire o danneggiare indirettamente i grandi trasformatori e venditori attuali ma che non può rinunciare ad ammettere la necessità di una politica più includente e che comprenda che il riscatto del Mezzogiorno è l’unica chance esistente per uscire dalla crisi. Continuare a far finta che non ci sia, non risolve nulla. È necessario che il Sud faccia squadra attorno a queste tesi, superando gli steccati partitici, semplicemente perché il futuro è di tutti noi

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